Un’Estate all’insegna della tentata destabilizzazione

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di Salvo Barbagallo

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Hanno provato e continueranno a provarci, le “menti” del Califfato nero jihadista: destabilizzare con l’arma del terrore. È un obbiettivo non raggiunto e che non sarà raggiunto, quello di scompaginare la stabilità di Paesi come la Spagna, la Francia, la Germania (eccetera) in Europa. Tanto meno in Italia. Innegabili le reazioni emotive di individui singoli e collettività: dai timori che gli attentati possano verificarsi ovunque, alla rabbia consequenziale di non avere strumenti adeguati (individuali e collettivi) per reagire, e, magari, cadere nella tentazione di applicare la legge dell’occhio per occhio. Ma contro chi?

Un’Estate che in Italia già si è presentata con i contrasti climatici, il Paese diviso in due parti, quasi una dimostrazione naturale delle differenze nord/sud, che registra necessariamente le pesanti ricadute dei tragici eventi disumani di Barcellona anche sulla vita locale. Nessuno si meraviglia dei dissuasori (materiali come le barriere di cemento, e militari, con soldati, poliziotti, camionette e quant’altro) posti nei grandi centri urbani (da Milano a Palermo), con attenzione particolare agli assembramenti per eventi cosiddetti “artistico/culturali”. La voglia estiva di trascorrere in serenità le vacanze è appannata, ma non vinta e, da questo punto di vista, il jihadismo ha perduto la sua guerra. Indubbiamente non tutto è cambiato nella quotidianità, ma molto è mutato: inutile negare i timori (individuali e collettivi), e però anche in questo caso (per evidenti esigenze) ci si affida a chi ha il dovere di assicurare la sicurezza ai cittadini, cioè a chi governa il Paese e alle iniziative che è costretto a prendere, spesso in contraddizione con la politica che ha portato e porta avanti.

Inevitabile che i mass media dall’ultimo attacco jihadista a Barcellona non facciano altro, in prima battuta, che descrivere ciò che è accaduto in terra di Catalogna; ed è altrettanto inevitabile che stiano trascurando tutto ciò che è legato alla migrazione dalle sponde della Libia, e all’abnorme presenza (non tutta controllata) di quanti sono riusciti a raggiungere, via Sicilia, l’Italia e l’Europa. Parlare del flusso dei migranti oggi (anche se dichiaratamente ridotto, chissà poi per quale divino motivo) potrebbe provocare reazioni addirittura incivili, quindi meglio (tanto meglio) puntare l’attenzione su ciò che emotivamente scuote maggiormente.

Le strategie del caos hanno molti aspetti, e per gli analisti è un duro lavoro, quello odierno, là dove intenderebbero provare o spiegare o capire (con tanto di punto interrogativo) i reali motivi che stanno alla base degli sconvolgimenti pilotati del vivere “Occidentale”.

Il terrorismo jihadista (o “islamico” tout court) fino ad oggi ha scosso le comunità, ma la destabilizzazione cercata con gli strumenti di morte non è avvenuta: è una strategia del terrore che si porta avanti da troppo tempo, ancor prima dell’attentato dell’11 settembre alle Torre Gemelle (che provocò oltre tremila vittime), ed è una strategia ormai nota e alla quale l’organismo umano si è (in un certo senso) abituato. Il “terrore” non è vinto e non si vince perché lo dice Gentiloni o il Papa, o perché la sindaca di Barcellona proibisce l’uso dei dissuasori in cemento sulle Ramblas per sostenere la multi nazionalità della città: il terrore, le paure, le vince innanzitutto il singolo individuo proprio per la sua natura umana e il suo innato istinto alla sopravvivenza, poi perché solo i folli possono rinunciare alle conquiste della Civiltà, e non chi è sano di mente.

E tutto ciò senza mai dimenticare le responsabilità dell’Occidente nella nascita dell’Isis e dell’incentivazione del sistema terrore.

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